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al testo proposto da Rosanna Varoli
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Il mondo perfetto (Apollo e Marsia)
Io mi ricordo come fosse ieri. A mezza estate, quando l’acqua ferma svanisce all’ombra quieta degli ontani, insieme salivamo al Ronco Buono per tendere alle martore e alle volpi, indovinando i passi dalle pieghe appena percettibili dell’erba, o dalle scie più scure, zigzaganti per slarghi immacolati di rugiada. E mi ricordo poi quando ogni volta ritornavamo a ispezionare i lacci; man mano che il sentiero s’annodava guidandoci ogni passo più vicino, nessuno si azzardava più a parlare - il cuore fitto in gola - nell’attesa di un segno, di un presagio, finchè un giorno, in una quiete d’agonia deserta per l’aria tesa come un ventre pregno trovavi l’erba rotta tutt’attorno e poi la bestia dentro, strangolata. E tutta l’emozione si scioglieva correndo trionfanti verso casa, levando in alto prede ancora calde che scuoiavamo sotto il porticato coi nostri coltellini, nel ribrezzo delle donne, e coi vecchi che in silenzio guardavano e scuotevano la testa. Davvero allora noi ci sentivamo padroni in quei momenti di un segreto implacabile, selvaggio, solare, da custodire con gioia nativa stretto al riparo da quelli più grandi, quelli che avevano già cominciato a fumare, a toccare le ragazze - io li vedevo - alla sagra a San Rocco scolare in fretta i bicchieri di bianco e saccheggiare la torta di riso, e ripulite le dita dall’unto passandole un momento sui calzoni, a rapide folate sparigliare le vesti lievi e odorose di buono. Ma a noi non riguardava per davvero; la nostra festa, quella, erano corse per corridoi proibiti e per saloni freschi di spigo e mele nei cassetti, e poi gli scherzi, e le risa, e i petardi che gettavamo accesi tra le gambe ai ballerini o al suonatore cieco, finchè qualcuno minacciava, e allora era l’uguale fuga a precipizio dal poggio della casa fino al bosco, oltre il mulino vecchio ed il castello, nel sole fiammeggiante della sera noi liberi, minuscoli, felici, noi soli salvi, soli destinati scivolando sulla vita a passare per la cruna implacabile dell’ago. |
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